Nota critica a LONTANO DAGLI OCCHI di Paolo Di Paolo Feltrinelli 2019
Nota critica di Piera Mattei
Cosa hanno in comune
Luciana, una giornalista quasi disoccupata, Valentina, una liceale, e
Cecilia, una fragile creatura vagabonda, protagoniste, almeno nella prima parte, di questa
narrazione? Sono tre giovani donne che vivono a Roma, ma non si frequentano né
si conoscono. Il fatto che le accomuna è che sono rimaste incinte lo stesso
anno, nello stesso periodo dell'anno. Nessuna delle tre ha quello che si chiama
un ménage regolare, un partner. Nessuna delle tre ha un vero amore o accende
una passione, per tutte e tre l'incontro che le ha rese incinte è stato un atto
sessuale che non intendeva avere conseguenze esistenziali.
E invece le esistenze si mettono in moto proprio così, con
un semplice atto sessuale. L'autore le segue, senza che mai i loro destini
s'intreccino, negli ultimi tre mesi della gravidanza fino al parto.
Cosa hanno in comune ancora? Tutte e tre rifiutano di
diventare madri. Madre non si è per il fatto di generare un altro essere della
tua stessa specie. Tra genitore e figlio c'è un rapporto biunivoco, quindi se
una donna si sottrae all'essere identificata come madre, se non ha la forza di
assumere la responsabilità di un'altra vita, anche se quella vita l'ha fatta
crescere e l'ha alimentata nel suo corpo, non è madre. E il bambino che ha
generato non sarà suo figlio, anzi non sarà "figlio" fino a quando
non troverà chi lo accolga come tale. In quell'attesa il piccolo nato vive in
un limbo di sensazioni e suoni plurali che non s'identificano con una voce, un
odore, un corpo materno.
Ma questa impossibilità di diventare madre, di accettare di
cambiare la sua collocazione nella scala biologica, che è comune a Luciana, a Valentina
e a Cecilia, personaggi-ipotesi irreali, è diversa dall'abbandono. Proprio oggi
la radio dava la notizia di una donna che ha lasciato un bimbo nel passeggino
alla Stazione Termini ed è fuggita via portando con sé un altro bambino, poco
più grande. Quello, sì, è un abbandono,
perché quella donna il suo figlio l'ha tenuto nelle braccia, l'ha nutrito e
vestito prima di lasciarlo solo, agli sguardi di passanti compassionevoli. Ma
le tre donne di questo libro, già da "prima" sanno che non saranno
mai le madri di quel bambino che pure hanno generato, restano aldiquà, danno
per scontata l'incapacità e addirittura l'impossibilità di assumere una
responsabilità simile. Forse la liceale, Valentina, quasi vorrebbe, ma lì,
stranamente, sono i genitori amorevoli che già hanno deciso per lei.
"Niente ci accomuna come essere figli"? No, direi
che niente ci accomuna come essere nati da donna, almeno finché non si troverà
un'altra maniera di nascere. Ma figli si diventa in rapporto a chi si riconosce
genitore, non prima.
Invece una riflessione che condivido: genitore biologico
cosa significa, se ogni uomo potrebbe generare migliaia di figli? E anche ogni
donna in età fertile, del resto, ogni mese si dispone a procreare. C'è,
nell'atto di generare, insieme necessità, quel DNA, e infinita casualità, quel
giorno, quell'ora.
Queste riflessioni e molte altre mi ha mosso il libro di
Paolo Di Paolo, libro del quale non si può dire tutto quanto si vorrebbe, mille
osservazioni, anche in rapporto al periodo storico, il 1983, nel quale è
ambientato. Non si può dire tutto quanto
si vorrebbe perché questo è anche un romanzo che andrà in mano a una quantità
di lettori che vogliono essere introdotti alla lettura, ma intendono poi
scoprire per loro conto il significato finale di quel racconto, affidato, sì,
veramente, al fantasticare su un tempo che è il tempo della nascita, alle
riflessioni e ai sentimenti che accompagnano la nascita.
"La mia condanna alla fantasticheria", dice di sé
l'autore. Figure fragili quelle dei genitori irrealizzati, sia le donne che gli
uomini, questi ultimi che in più si assolvono anche per l'incertezza del loro
ruolo. La genitorialità, qui esclusa a priori dai "responsabili" del
concepimento, appartiene alla coppia di trentenni che dopo alcuni mesi porta un
bambino dal brefotrofio alla sua nuova casa.
C'è nel romanzo una figura secondaria che molto mi ha
colpito, quella del custode di notte nel dormitorio delle piccole culle,
"conta le ore nell'alternarsi di pianti e di quiete, ma il silenzio vero
non esiste", c'è sempre "qualcuno che non tace". Lui,
appassionato di astronomia, sa che anche nello spazio non esiste silenzio, che
neppure l'universo sta zitto. Personaggio laterale della storia, al quale
tuttavia è dedicato un intero breve capitolo, nasce certo da quella naturale propensione
dell'autore, che si affina come disposizione al racconto e alla narrazione ,"a
soppesare esistenze alternative, scrutare gli sconosciuti con invidia benevola,
come sapessero, o avessero, sempre qualcosa in più, un segreto
vantaggioso".